Teatro

SIRONI - gli anni '40 e '50, dal crollo dell'ideologia agli anni dell'Apocalisse

SIRONI - gli anni '40 e '50, dal crollo dell'ideologia agli anni dell'Apocalisse

La mostra ripercorre una fase cruciale dell'artista, il drammatico mutamento di pensiero che Sironi matura negli anni Quaranta e che si coglie con evidenza ne “Il lavoro”, commissionata nel 1949 da Giuseppe Verzocchi a Forlì. Nella piccola tela l'artista affronta uno dei temi a lui più cari: a differenza di tanti costruttori, artigiani, contadini, pescatori che dominavano la composizione nei dipinti degli anni '20 e '30 e svolgevano il loro compito in uno spazio che da loro prendeva senso e valore, qui lo scalpellino è relegato in un angolo, quasi murato col proprio sgabello in quel gramo ambiente. La figura non è imponente, anzi la sua nudità, che evoca un'antichità senza tempo, fa apparire il suo lavoro più umile a faticoso. La casa e l'albero sono incastrati in un sipario di rocce, lunare e senza vita.
A partire dal 1940-41, con un'intensificazione dopo il 1942, Sironi torna al tema prediletto dei paesaggi urbani, abbandonato negli anni Trenta. Le periferie assumono una dimensione espressionista e al tempo stesso classica, luoghi certamente dolorosi ma percorsi da una potente grandiosità: la drammaticità è compensata dall'energia costruttrice. Quando appaiono, le figure sono sedute, figure che “staccandosi dal mondo reale, riappaiono su tela”.
In questa stagione neo-metafisica si affacciano fantocci approssimativi ed elementi architettonici spezzati e senza scopo. Le composizioni policentriche sembrano nostalgie per i murali che non può più realizzare (Sironi per anni aveva percorso l'ideale della pittura murale, pensata in rapporto con l'architettura ed in dimensioni monumentali).
Negli anni della guerra si avvicina a temi religiosi, iconografie non canoniche ma cariche di intensa pietas. Dal 1946 appaiono sipari di rocce, un paesaggio allucinato: l'artista aveva sempre rappresentato in precedenza nella sua pittura un popolo di costruttori, di lavoratori, di artefici; qui invece gli uomini non dominano la storia e la natura, ma ne sono oppressi, gravati. Ciò esprime il crollo di tutti i suoi ideali, la consapevolezza che non si può più realizzare nessun ideale, non si può più realizzare quasi niente. Un momento di “pessimismo cosmico”, causato anche dalle precarie condizioni di salute.
Nel 1954 realizza l'“Omaggio a Giotto” sul tema dell'omaggio agli antichi maestri per il neonato PAC di Milano. Del 1958 è “Debout les mors”, visione cupa, da sottosuolo, ispirata alla potenza visionaria di una poesia di Vittorio Sereni: “Non dubitare, i morti parleranno”.
Il percorso si chiude con “Apocalisse” (1961, nella foto), che non rappresenta la dimensione più mistica del testo biblico ma quella più terrena.
Nel catalogo è illuminante l'introduzione di Vittorio Sgarbi.
Milano, Fondazione Stelline, fino al 25 maggio 2008, aperta dal martedì alla domenica dalle 10 alle 20 (lunedì chiuso), ingresso euro 6,00, catalogo Electa, infoline 02.45462411, sito internet www.stelline.it